La cucina papalina e quella popolare a Roma
“Er papa magna sempre solo”
Così recitava un famoso componimento del grande poeta ottocentesco Giuseppe Gioacchino Belli.
Chissà cosa scriverebbe oggi, il poeta romano sullo stile di vita morigerato di Papa Francesco. Abituato com’era alla sontuosità delle cucine papaline del suo tempo.
Con le dispense traboccanti di ogni sorta di cibi e bevande. Cucine brulicanti di affaccendati a servire e riverire il rappresentante di Dio in terra.
Dall’archivio gastronomico sono trapelati svariati episodi, non sempre edificanti. Appare nota, infatti, l’inclinazione delle corti papali alle grandi e sontuose feste.
Est Est Est!!!
Come non ricordare, ad esempio, l’apporto del vescovo tedesco Fugger. Passato alla storia per aver contribuito alla nascita del nome del vino Est Est Est di Montefiascone.
Si narra, che, il suo corteo di viaggio, in discesa verso Roma, fu preceduto da una specie di informatore. Incaricato di segnalare le osterie che servivano vino di qualità.
Ogni osteria veniva contrassegnata, in caso positivo, dall’acronimo Est. Omettendo la parola bonum a significare è buono, ossia, c’è buon vino.
Una volta raggiunta Montefiascone, bella cittadina medievale nei pressi di Roma, il vino fu trovato eccezionale. Talmente buono che venne indicato con ben tre volte la parola Est.
L’Est Est Est di Montefiascone è ancora oggi una rinomata DOC laziale. Ma non portò fortuna al vescovo. Questi infatti, sopraggiunto nella cittadina, ne bevve così tanto che morì quella notte stessa.
L’inferno di Dante.
Il Sommo poeta Dante, riservò senza timore un posto nel girone infernale dei golosi ad un Papa. Papa Martino IV (1281-1285) morì, sembra, per indigestione. Anch’egli vittima della gola e di un pasto esagerato.
Golosi fino a scoppiare.
Il Papa Clemente VI fu eletto al soglio pontificio nel 1344. Festeggiato con uno dei più sontuosi banchetti della storia. Tutti i cuochi personali dei vescovi si riunirono nelle cucine per realizzare un trionfo di macellazione.
Oltre 100 buoi e 1000 montoni, più di 7000 polli, 300 lucci e oltre 3000 uova furono cucinati in un unico pasto.
Nel 1349 anche il cardinale Annibaldo Caetani offrì un banchetto strepitoso in onore di Papa Clemente VI. Una fontana adibita a servire vino, innumerevoli portate a base di cacciagione, posate e servizi d’oro. Il dessert fu servito scenograficamente su due alberi dai quali pendevano dolci e frutti canditi. L’anno successivo, lo stesso Annibaldo fu inviato come delegato papale a Napoli ed accolto con tutti gli onori. Durante il rientro, però, si fermò nella cittadina di Ceccano. Mangiò così tanto, tuttavia, da morire di indigestione la sera successiva.
La Cucina Papalina e quella Popolare
Mentre nelle sale Pontificie si banchettava, a Roma la popolazione moriva di fame. Stremati da malattie epidemiche, miseria, carestie e pestilenze, ai romani restava poco da fare.
Creare ricette dal nulla, fu quindi una necessità.
E, come si sa, di necessità, virtù.
Da qui nasce la divisione fra i due stili di cucina, allora come oggi, fra la cucina Papalina e quella Popolare.
I poveri, utilizzavano tutto ciò che di commestibile potesse avanzare dalle tavole dei signori. Come anche gli scarti delle materie prime nei mercati rionali. Questo diede vita ad una raccolta di succulente ricette ancora oggi amate dai cittadini della Capitale.
Lo street food a Roma.
Il cibo di strada era già molto popolare a Roma fin dall’antichità. Anche nel tardo medioevo permetteva alle centinaia di venditori ambulanti di sopravvivere.
Si vendendo frattaglie, ingredienti o direttamente ricette cucinate nei vicoli della città.
A seconda della stagione, e anche del periodo collegato alle feste religiose. Risuonavano per strade e piazze le urla dei venditori di pesce, frutta, ciambelle, acquaviti.
Il latte invece veniva munto, a richiesta, direttamente in strada dai pecorai.
La cucina Giudaico-romanesca
Il terzo pilastro della cucina romana è, senza dubbio, quella che fa riferimento alla storia e tradizione della comunità ebraica.
Asserragliati nel Ghetto ebraico di Roma, agli ebrei di Roma restava ancor meno cibo del resto della popolazione. Siamo nella seconda metà del 1500 , il Papa dà fondamenta al Serraglio degli Ebrei, nella insalubre sponda del Tevere.
Fra le tante restrizioni e vincoli imposti, palesemente venivano elencati anche limitazioni per alcun alimenti. Anche qui la resilienza giocò un ruolo decisivo con la creazione di ricette stupefacenti. Tali ricette sono ancora oggi considerate veri e propri gioielli gourmet. Come non citare, ad esempio, il Carciofo alla Giudia. Rigorosamente fritto in olio d’oliva, caposaldo della cucina locale.
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