La storia della Coca-Cola: come divenne il nuovo vino.
La storia della Coca-Cola racchiude un mondo di avvenimenti, stili di vita, politica e costume di grande portata. Piaccia o meno, si tratta del prodotto iconico di un impero economico-politico, quello americano, liberamente ispirato a quello Romano.
Secondo alcuni, in termini simbolici, la Coca-Cola sta all’America come il vinum sta alla Roma Imperiale del II secolo avanti Cristo.
La storia della Coca-Cola vicino a quella del vino potrà sembrare a tanti un sacrilego accostamento. Perlomeno, un parallelismo azzardato, tuttavia i tratti in comune sono tanti e conducono alla stessa conclusione: il cibo è parte integrante della cultura di un popolo.
La storia della Coca-Cola.
1886, Atlanta, Georgia, USA. Sulla gazzetta della città di Rossella O’Hara, appare un trafiletto pubblicitario sponsorizzante un preparato da farmacia. Si tratta della creazione del dottor John Syth Pemberton, reduce dalla guerra di Secessione. Sopravvissuto alle ferite grazie a massicce dosi di morfina, dalle quali non si disintossicò mai, il Pemberton coltiva un sogno. Guarire l’umanità dalla piaga del mal di testa. Esperto ed appassionato di botanica, e, chiaramente, abile nella preparazione galenica, inventa una bevanda destinata a percorrere i secoli.
Il preparato viene battezzato Coca-Cola grazie all’ingrediente-base di allora: l’estratto fluido di coca e noci di cola.
Questo intruglio di estratti erbacei, aromi, alcool e spezie prende dunque posto sul bancone della farmacia al costo di cinque centesimi al bicchiere.
Deliziosa! Rinfrescante! Divertente! Tonificante!
Lungi da curare il mal di testa, il tonico stenta a trovare un gran numero di estimatori. Almeno fino a quando il genio pubblicitario William D’Arcy inizia a lavorare sull’immagine della bevanda. Logo, confezione riconoscibile, slogan d’effetto, come l’anfora era divenuta il recipiente distintivo per il vino dell’antica Roma, la bottiglietta contour non sarà da meno.
Nell’Impero dei Cesari, il vino era la bevanda dell’uomo raffinato e colto, per poi diventare alimento, e anello di congiunzione fra il divino e l’umano. In America, la Coca-Cola diverrà la bevanda di tutti, una compagna di vita, l’identificazione di valori, in una parola: casa.
Un grande successo di marketing.
Basta unire la bottiglietta alle labbra di una bella ragazza, ad una casalinga che si prende una sosta dalle fatiche domestiche, ad un paio di uomini di affari che siedono a bordo di un treno, per fare entrare la bevanda negli usi e costumi di una vita moderna.
La Coca-Cola è un lusso che chiunque si può permettere, un gusto che bagna le labbra di ogni americano, uomo o donna che sia, bianco o nero, ricco o povero. Buona a pranzo o a cena, perfetta in ogni momento della giornata.
Coca-Cola esposta in cucina, alcolici nascosti in cantina.
Quando nel 1919 il governo degli Stati Uniti, approva il famigerato Volstead Act – la legge statunitense che sancisce la messa al bando di quasi tutte le bevande alcoliche – la Coca-Cola, si diffonde in tutta America, rimpiazzando, al pasto, l’amato vino.
Il periodo passato alla storia come Proibizionismo, finirà nel 1933, anno in cui sarà revocato il Volstead Act. In quei quattordici anni di “sobrietà”, tuttavia, il commercio illegale di alcol crescerà a dismisura, favorendo l’ascesa di clan malavitosi e la nascita di migliaia di distillerie clandestine. Ma la bruna bevanda sarà ormai su tutte le tavole d’America.
Babbo Natale e la Coca-Cola
Ed è nel dicembre del 1931, in un’America che attraversa una delle più buie crisi economiche, che il colpo di genio di D’Arcy crea un nuovo mito sul mito. Nonostante la aberrante sequenza di disoccupati e suicidi, seguita al crollo della borsa di Wall Street del ’29, si tenta di festeggiare il Natale.
Dall’alto di un cartellone pubblicitario Santa Claus appare sereno e sorridente, con una confortante Coca-Cola in mano.
Sissignori, c’è ancora speranza! Anche se non si può bere liberamente, e se le file per il pane sono interminabili, l’America è la grande casa di tutti. Allo stesso modo in cui la Coca-Cola è la bevanda di tutti, adulti e bambini, anche di Babbo Natale.
Cosa rende la bevanda così speciale?
La dolcezza certamente, la contingenza, di sicuro. Il marketing assolutamente. Forse anche il fascino provocato dal famoso ingrediente segreto. Fascino che resterà tale anche quando, nel 1930 comparirà sul mercato un concorrente: la Pepsi-Cola.
Molto simile, ma estremamente più economica della Coke, la Pepsi sperimenterà un incredibile successo di pubblico. Ma la spregiudicata agenzia pubblicitaria D’Arcy ha una nuova freccia al suo arco: la guerra. Durante il secondo conflitto mondiale, che spedisce la gioventù americana a combattere lontano da casa, il morale va tenuto alto.
La Coca-Cola, rappresenterà, per i soldati al fronte, quel sapore di casa, quel piccolo piacere che ricorda le solite vecchie abitudini. Il presidente-soldato Woodruff dichiarerà che ogni uomo in divisa riceverà una bottiglia di Coca-Cola ad un prezzo calmierato.
Così la produzione impazza. Si rischierà pure la vita, ma con una confortante bottiglietta in dotazione. Un po’ come succedeva al legionario romano nell’antichità, ma con il vino al posto della cola.
The dark side of the bottle.
Per tanti, la Coca-Cola incarna, dunque un complesso di valori, che vanno al di là dell’oggetto stesso. Ma anche per questo, i delatori sono molti. Il popolare scritto della Naomi Klein, No Logo, un saggio che analizza le strategie di branding e dell’economia globalizzata, ne rivela il dark side. L’anima nera della globalizzazione, le dinamiche subdole attraverso cui le grandi corporazioni manipolano i nostri desideri e coscienze.
De gustibus non est disputandum, dicevano i Latini.
E dunque lasciamo al gusto personale scegliere cosa bere a tavola. Come anche lasciamo ad ognuno la libertà di seguire le prescrizioni del proprio medico di fiducia. Se il vostro è Pemberton, va bene. Ma stante alle ultime ricerche scientifiche in campo nutrizionale, un bicchiere di vino al giorno toglie il medico di torno, un bicchiere di Coca-Cola, non si sa.